Dai Queen in poi: breve storia della produzione di video musicali

Video Killed the Radio Stars

Un tempo la radio era il regno indiscusso della musica. Per generazioni i giovani hanno imparato ad ascoltare i propri beniamini dalla radio, senza del resto pensare che servisse davvero qualcos’altro per godersi appieno quelle fantastiche melodie. Poi sono arrivati i videoclip, e l’industria della musica non ha potuto che adeguarsi anno dopo anno a questa nuova frontiera promozionale. Ma quanto è nata la produzione di video musicali come la intendiamo oggi?

L’alba della produzione di video musicali

Il primo esempio di lancio consapevole di una canzone attraverso un videoclip è stato quello dei Queen con l’indimenticabile Bohemian Rhapsody, nel 1975: è da quella data, convenzionalmente, che si fa iniziare la storia della produzione di video musicali. E già quel primo e pionieristico videoclip, del resto, conteneva tutti i principali elementi che avrebbero caratterizzato la successiva produzione di video: questo clip, diretto da Bruce Gowers, si basa su un montaggio serrato tra un’esibizione live (in questo caso finta) e dei suggestivi primi piani dei componenti del gruppo attraverso il prisma. L’effetto di questo videoclip musicale – realizzato in quattro ore e costato circa 7.000 sterline – fu immediato e plateale: dopo il suo lancio televisivo, in soli sette giorni, Bohemian Rhapsody balzò in testa alla Uk Singles Chart, restando davanti a tutti quanti per un mese intero. Bruce Gowers, al primo capitolo della florida storia della produzione di video musicali, ci aveva visto giusto: niente come quel clip avrebbe potuto risaltare la presenza scenica, il carisma e il look di Freddy e compagni.

La maturità del videoclip

Da Bohemian Rhapsody in poi, quella produzione di video musicali diventò una vera e propria costante per le case di produzione. A cementare questa nuova pratica fu però la nascita di MTV, che fu per la X generation quello che fu il rock ‘n’ roll per i ragazzi tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Il primo luglio del 1981, nella televisione via cavo americana andò infatti in onda il videoclip di una band semisconosciuta, ovvero Video Killed the Radio Stars dei Buggles: il pezzo, come si intuisce dal titolo, non fu certo scelto a caso. E non è tutto qui: quello girato da Russell Mulcahy fu anche il primo esempio di clip realizzato unendo tecniche cinematografiche e pubblicitarie. L’anno seguente usciva Thriller, di Michael Jackson, e la produzione di video musicali mostrava già di aver raggiunto la sua completa maturità: una coreografia che resterà indelebile, dei costumi degni di un film horror di serie A, una story board complessa, e nientepopodimeno di John Landis (The Blues Brothers) alla regia.

La produzione di videoclip, oggi

Ammettiamolo: l’epoca d’oro di Mtv è finita già da qualche anno. Ma la produzione di video musicali – anzi, la necessità stessa di realizzare i videoclip – è più viva che mai, come diretta conseguenza dello strapotere dei filmati in rete. L’emittente televisiva tanto amata dai giovani della X generation è infatti stata spodestata da YouTube – Vevo etc – canale promozionale ormai obbligatorio per le case di produzione musicali dei nostri giorni. È cambiato dunque il mezzo, ma non l’essenza profonda dei video musicali, che anzi sono diventati dei veri e propri micro-film, capaci di moltiplicare l’urgenza espressiva tipica delle migliori canzoni dei nostri tempi.

Un videoclip musicale prodotto a regola d’arte parte dai primi incontri con l’artista e si compone poi seguendo nota per nota il brano musicale, facendo così suonare all’unisono la regia, le luci, la narrazione… Parliamo quindi di location suggestive, di ottiche ad hoc per l’occasione, di attrezzatura broadcast, di un’intera troupe che si muove alla perfezione, proprio come un’orchestra. La produzione di video musicali ad alto impatto emotivo richiede le stesse abilità filmiche di una set cinematografico: il suo fine ultimo, infatti, è quello di emozionare, coinvolgere il pubblico, potenziando l’eco stesso della canzone!

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