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Il cinema di Kubrick

Aprile del 1968: il movimento studentesco è al suo apice, le proteste contro la guerra in Vietnam aumentano a dismisura. Il 4 aprile Martin Luther King viene assassinato da James Eary Ray. Il giorno precedente viene proiettato per la prima volta il film di Stanley Kubrick 2001: Odissea dello spazio. A cinquant’anni esatti dall’uscita di quel capolavoro, è inevitabile tornare a parlare del cinema di Kubrick, di quello che ha significato per la cultura in generale e soprattutto per il lavoro di chi si occupa della produzione cinematografica.

(Per approfondire e conoscere meglio le doti e la vita privata del grande maestro sono degni di nota un documentario vincitore del David di Donatello 2016 su Kubrick, diretto da Alex Infascelli, nonché un fantastico libro scritto da Emilio D’Alessandro ,’Stanley Kubrick e me’ ricco di racconti e di aneddoti dei suoi ben 30 anni passati a fianco del grande cineasta).

Ancora due parole sul cinema di Kubrick

Sul cinema di Kubrick si è scritto tanto, tantissimo, e per questo, quando si vuole tornare sul discorso, non si sa davvero da dove iniziare. Di certo anche il cineasta statunitense – naturalizzato britannico – ci ha messo del suo, producendo pellicole per i più differenti generi cinematografici. Dai film di guerra come Paura e desiderio, Orizzonti di gloria e Full Metal Jacket, è passato con mirabile nonchalance alla commedia nera di Lolita, al peplum di Spartacus, al thriller di Rapina a mano armata, al noir de Il bacio dell’assassino, alla fantascienza di Arancia Meccanica, alla satira di Il dottor Stranamore, allo storico Barry Lyndon, all’horror di Shining, fino a chiudere con il drammatico e allucinato Eyes Wide Shut. Difficile, dunque, tracciare un discorso lineare e onnicomprensivo.

Da dove iniziare? Di certo è difficile dire qualcosa che non è già stato detto, eppure la sensazione è, ancora oggi, a quasi vent’anni dalla morte del regista, che il cinema di Kubrick abbia ancora molto da dire, e che sia ancora rimasto qualcosa da capire. I suoi film, pur essendo sempre tratti da romanzi, non sono mai infatti semplicemente delle narrazioni, in quanto Kubrick fa ben più che raccontare: lui elabora, lui sogna, e lo spettatore deve seguirlo. E non è facile, anche per via dell’estrema pignoleria di questo cineasta, che ha saputo utilizzare la cinepresa come mai nessuno prima di lui. Si pensi alla sua volontà di illuminare intere scene solo con il lume di candela, ricreando l’effetto di un dipinto (tecnica che usò per , Barry Lyndon, arrivando all’Oscar).

Seduti sul divano di casa nostra o sulla poltroncina di qualche cinema, mentre guardiamo Shining o Arancia meccanica, non guardiamo semplicemente un film, no, guardiamo dei mondi immaginari e allo stesso tempo reali, concreti e sconcertanti, e li osserviamo non più con i nostri occhi, ma con quelli del regista. Ed è del resto questa una delle tecniche più caratteristiche del cinema di Kubrick: le soggettive non appartengono ai personaggi, no, è sempre e solo quello di Kubrick lo sguardo dal quale partiamo. Si pensi alla scena del labirinto di Shining: Jack guarda un modellino dall’alto, ma quel modellino in miniatura si trasforma davanti ai nostri occhi nel labirinto reale, tant’è che vediamo Wendy e Danny mentre vi camminano. Quello non è dunque lo sguardo di Jack, no, è quello del regista che tutto controlla, che tutto crea e che tutto distrugge – come si vedrà alla fine.

E questo si ripete ben al di fuori del solo film psyco-thriller. Si pensi ad Arancia Meccanica, dove il ‘protagonista’ fa quello che nessun attore dovrebbe mai e poi mai fare – stando alle regole classiche del cinema –: guarda dritto in macchina. Ma chi sta guardando Alex? Sta guardando noi, dall’altra parte dello schermo? Oppure, anziché guardare lo spettatore, sta guardando lui, il regista? E non è forse a partire da quello sguardo irrispettoso – delle regole – che inizia la svolta, decisa da quello stesso dio-regista che ha accolto la ‘sfida’?

I protagonisti non sono i personaggi: non è Jack, non è Alex, non è David, non è Joker, non è Bill, no, protagonista è sempre prima di tutto la macchina da presa. Il cinema di Kubrick, in definitiva, è prima di tutto un gioco tra i personaggi e il regista, in cui è sempre il secondo a vincere – il controllo, infatti, è sempre suo, dall’inizio alla fine.

È questo quello a cui deve puntare chi produce video di qualsiasi tipo: al pieno controllo. Chi produce un filmato aziendale o uno spot promozionale deve sapere in ogni momento quali saranno gli effetti di ogni singola scena sullo spettatore, il quale, una volta terminata la visione – in televisione, su YouTube, sui social network – deve essere portato ad agire nei confronti del brand sponsorizzato. Vuoi avvalerti di una troupe di professionisti con tanta passione per il cinema , per la realizzazione della tua campagna di video marketing? Contatta Thirty Seconds Milano!